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La malattia della nitidezza

La percezione è l’arte che si dovrebbe dominare quando si affrontano le creazioni per immagine, a partire dall’illustrazione, la pittura fino ad arrivare alla fotografia e alle “motion picture”; uso il termine inglese perchè più si avvicina al concetto di quello che sono, ovvero immagini in movimento.

Prima dei sistemi di home recording e la possibilità di rivedere le immagini, il gusto delle persone era legato ai concetti e ai contenuti, mentre man mano che si diffondevano negli ultimi 40 anni i sistemi di visione casalinga, progressivamente sono nate delle finte necessità di maggior qualità e nitidezza create più dal marketing che dalle reali richieste dello spettatore medio, che guarda un film in sala proiettato in Imax, o mal trasmesso in streaming sul cellulare da 4 pollici, e dimentica entrambi con la stessa velocità.

L’ossessione per la nitidezza ha affrontato più fasi, negli anni 80 non c’erano mezzi per avere nitidezza reale a causa dei limiti dei mezzi video che catturavano le immagini, e la pellicola spesso era troppo costosa per i videomaker (all’epoca non si potevano categorizzare come filmaker proprio perchè il video, il nastro, erano lo strumento principe di lavoro per chi narrava per immagini low cost).

Nel video la nitidezza non esisteva realmente, sia perchè la quantità di informazioni registrabili anche su nastro betacam (telecamere da un centinaio di milioni delle vecchie lire) erano veramente poche (secondo i ragionamenti di oggi), sia perchè le lenti erano tarate su quel tipo di sensori e capacità di registrazione, sia perchè la gamma dinamica di quei sensori ccd, pur buona, non permetteva di affiancare informazioni che generavano un certo livello di contrasto senza perdere informazioni intermedie (appiattire il tutto).

Con l’introduzione del Digital video si sono introdotti diversi sistemi di “miglioramento” dell’immagine digitale, tra cui lo sharpness, ovvero una maschera di contrasto digitale che aumenta l’incisività di alcuni dettagli, ma in modo piatto… cioè dato che sono sistemi semplici di manipolazione dell’immagine, lo sharpness aumenta il dettaglio locale di oggetti vicini e lontanti, e quindi l’effetto diventa fastidioso e artificiale, vedesi l’articolo sull’effetto telenovelas.

Con il miglioramento della tecnologia e della risoluzione, le immagini video crebbero molto, ma l’ossessione per la nitidezza (dei tecnici) comportava sempre questo effetto video (lo sharpness) che ha sempre fatto storcere il naso ai filmaker finchè… arrivarono le macchine fotografiche.

L’introduzione molto recente (2008) delle video dslr fece un salto notevole sulla resa delle immagini, proprio perchè si parlava di pasta, di immagine meno nitida (non sfuocata) ma naturale delle fotocamere che offriva pur in un segnale compresso delle immagini più cinematografiche, ma con il vantaggio di gamma dinamica dei sensori fotografici e spesso con le lenti intercambiabili meno “wide like” cosa che erano i due talloni d’achille delle telecamere.

Con la diffusione poi delle cineprese digitali tutti questi elementi sono diventati disponibili e diffusi a tutti i livelli di acquisto, ma resta sempre questa ossessione della nitidezza da parte dei Pixel Peeper, che guardano ogni frame ingrandito 300%, che cercano ogni tipo di difetto come se fossero quelli i veri responsabili della qualità del prodotto.

La nitidezza sembra non essere mai abbastanza … peccato che troppa nitidezza CAUSI una serie di problemi non trascurabili:

  1. immagini più stroboscopiche perchè si fissano per più tempo sulla retina
  2. richiesta di datarate maggiori per dettagli che spariranno durante il delivery
  3. eccesso di nitidezza può dar vita a moires
  4. la profondità di una immagine viene data anche dalla “prospettiva aerea” descritta da leonardo nel suo “trattato sulla pittura” una immagine perfettamente nitida tende a essere anche più piatta.
  5. richiede una illuminazione maggiore e più accurata per dividere i piani e identificare le diverse zone
  6. porta il cervello spesso a distrarsi guardando troppo il dettaglio e meno il contenuto.

Molti filmaker confondono la fotografia statica con l’immagine in movimento e insistere troppo con il dettaglio rischia di deviare l’attenzione e il contenuto. Le dslr sono esplose proprio grazie a una maggior morbidezza d’immagine pur restando dettagliate.

Naturalmente da una parte ci sono delle leggi fisiologiche per cui una immagine percepita in un modo ha una resa, dall’altra il gusto personale dove chi guarda vuole maggior “ciò che mi piace”.

Se si aumenta la nitidezza delle immagini si deve aumentare anche il framerate catturato e riprodotto, è una legge fisiologica, altrimenti le immagini avranno mille problemi, perchè il nostro cervello e i nostri occhi lavorano in questo modo, e per quanto i detrattori, i tecnici parlino, non si sono ancora fatti upgrade di questi due device 😀

Fotografare con le Cineprese

Da tanti anni c’è la “moda” di fare le riprese con le fotocamere, anche a costo di lavorare peggio rispetto alle telecamere (mancanza di autofocus video continuo, audio pessimo, problematiche di gestione su riprese lunghe, stabilizzazione, ergonomia per il video etc etc) e quasi ci siamo dimenticati della parte fotografica. In passato feci un post provocatorio su una delle fotocamere più usate per il video, analizzando la parte fotografica, oggi farò un articolo ancora più sconvolgente… fare le fotografie con una cinepresa… la pocket4k di Blackmagic Design.
In realtà questa “pretesa” avviene da secoli, dagli anni 90 i clienti chiedevano grab di video in formato SD interlacciato per passarli ai grafici per la creazione delle copertine delle VHS, e con imbarazzo cercavo di spiegare e far capire che la definizione, la qualità del colore, e tanti altri elementi avrebbero causato risultati di basso livello…
Intorno al 2009 (quindi solo di recente) Red fu la prima a proporre le estrazioni dei frame dai loro shooting 4k come alternativa alle fotografie, e sembrò che quella bestemmia stesse per rovinare il mondo della fotografia, quando in realtà chiunque abbia qualche cognizione tecnica di video e di fotografia sa che o si riprende per il video (otturazione corretta per la percezione del movimento) o si riprende per la fotografia (otturazione alta per immagini nitide senza micromosso).

Considerati gli alti costi delle Red tale progetto fu accantonato dal marketing che cercava di vendere le Red come macchine fotografiche, ma non ne avevano aspetto, ergonomia e vantaggi completi rispetto alle tradizionali Reflex.

Di recente (agosto 2019) a causa di un intoppo tecnico dell’ultimo momento, la fotocamera inutilizzabile, ho dovuto “inventare” un modo efficiente di usare quello che avevo per fotografare, ovvero la Blackmagic Design Pocket Cinema Camera 4k.
La camera è una cinepresa con sensore 4k sviluppato da Sony (lo stesso della gh5s e della Sony ALpha7), con la capacità di scattare tramite il bottone fotografico dei fotogrammi DNG non compressi o riprendere… ovvero fare delle raffiche da 60 fotogrammi al secondo di 10 mpx per … un sacco di tempo.

Il pulsante di scatto fotografico è stato implementato per poter catturare dei frame non compressi raw per uso VFX o per fare immagini con la stessa colorimetria del filmato (mia richiesta a BMD fin dalla prima cinema camera, dove emulavo tale operazione con la funzione del timelapse, e successivamente anche con la Production Camera 4K), ma ha un difetto E’ LENTISSIMO!!!

La reattività del bottone rende tale funzione inutilizzabile per uno shooting fotografico più serio, ma usare invece la ripresa e poi estrarre i frame raw, è una soluzione più flessibile ed efficiente per il risultato finale.

Durante la mattina, superati i timori di scatto, gestiti i problemi di messa a fuoco sotto il sole, alla fine sfruttando falsi colori e peaking sono riuscito a portare a casa un discreto numero di scatti.

Una volta scelto il tempo di otturazione usavo la rotella per cambiare il diaframma, tranquillo che in raw avrei potuto gestire iso senza problema in post (la pocket ha un raw iso invariant), un tempo adeguato per gestire la luce, che essendo costante non dovevo toccare più di tanto, col fuoco manuale (al quale sono abituato anche nello scatto fotografico) mi sono trovato abbastanza tranquillo negli scatti.

Ho scelto volontariamente di usare una Lexar 128gb che supporta la registrazione in Q0 per alcuni secondi, per cui invece che preoccuparmi del fatto che la scheda mi permettesse solo riprese da pochi secondi, ho lavorato come se avessi quella scheda per le raffiche da 3-4 secondi alla volta. Avrei potuto usare l’ssd collegato, ma avrei dovuto fare più click sul bottone di ripresa, invece così era come scattare con una fotocamera, ma più frame al secondo, per più tempo 😀

Una volta tornato a casa ho controllato le immagini, i Dng che ho tentato di scattare in parallelo per avere alternative alla sequenza in Braw Q0 e alla fine mi sono sorpreso di come le differenze tra dng e braw in Q0 fossero quasi nulle in nitidezza, DR e qualità generale.

Non molti hanno notato che le BMD con il nuovo Os hanno la possibilità di scattare usando l’otturazione in gradi, oppure in tempi, più famigliari per lavorare in fotografia.
Per evitare il micromosso ho scelto di lavorare ad 1/520, adattando diaframma e iso per gestire l’esposizione.

Il flusso di lavoro che ho sviluppato per gestire poi il materiale è semplice :

  • Importazione di Braw dentro Resolve.
  • Creazione della timeline con le clip.
  • Navigazione e scelta dei frame che ci interessano.
  • Dal pannello Camera usare la funzione Export Frame per salvare un frame braw (senza ricompressione salviamo un frame raw per l’archiviazione).
  • Creazione di un nuovo progetto che caricherà i singoli frame raw e Dng per poi esportare una sequenza di TIFF 16bit con la corretta colorimetria per file raw.
  • importazione in un normale programma di gestione fotografica (Photoshop, Lightroom, CaptureOne) per le normali lavorazioni fotografiche.

In alternativa, chi utilizza Adobe Premiere può fare la stessa cosa acquistando il Braw Studio di Autokroma, lo sviluppatore Antoine ha introdotto su mia richiesta la funzione di export di un frame 16bit direttamente dalla sorgente raw dalla versione 1.61.

Pro

  • Colorimetria ricca e con ampio spazio di lavoro
  • Sequenze fotografiche di durata quasi infinita, ottima per lo sport
  • In caso di fuochi difficili è possibile focheggiare durante la ripresa per avere le certezze di fuoco sequenziali
  • Si ha già la camera con se mentre si fanno i video

Contro

  • Flusso di lavoro più lungo del solito
  • Fuochi difficili senza ausilii (un semplice paraluce risolve il problema).
  • Necessità di supporti più capienti.
  • Otturazione che non può scendere sotto 1/24 nè andare sopra il 1/720

Qui sotto potete vedere un esempio in cui diventa improbabile scoprire quale è di fonte Dng e quale è un frame BrawQ0, solo facendo il download degli originali dai quali sono escluse le modelle, per questione di copyright.

Da qui posso pensare che l’acquisto della sorella 6k (21mpx di risoluzione) diventi una soluzione interessante in quelle situazioni dove i fuochi siano più controllabili e la necessità di cogliere con raffiche sfumature e dettagli che nelle raffiche di una fotocamera tradizionale mostrano i loro limiti.

Qualche esempio con la Pocket6k

Naturalmente questa è una soluzione alternativa, ma non primaria dove una fotocamera con mille e più elementi è LA soluzione per fare fotografia, resto dell’idea che ogni strumento esprime il meglio nel lavoro per cui è stato creato.

6(k) motivi per cui la Pocket 6k è migliore della Pocket 4k

Argomento caldo di questi giorni è l’uscita della Pocket6k prima di IBC 2019, e la normale corsa al upgrade alla sorella della Pocket4k, perchè se ha 6k è sicuramente meglio della 4k, o forse no?

In un primo articolo ho detto per chi è meglio la pocket4k e in questo possiamo vedere per chi la Pocket6k può essere meglio. Non a caso Blackmagic ha scelto di fare due sorelle simili e diverse in alcune caratteristiche, sia per seguire il passo tecnologico a cui le altre case stavano approcciando, cioè il 6k, sia per prendere un altro mercato di filmaking interessante, sia per offrire ulteriori possibilità di scelta nella cattura dell’immagine.

1) Risoluzione

La Pocket4k è limitata (si fa per dire) al 4k DCI mentre la Pocket6k è una camera che offre molte opzioni di risoluzione partendo dal 6k raw, diversi fattori di ripresa anamorfica a scendere (in raw escluso il 4k, per motivi x, ma disponibile come prores). Ovviamente uno dei principali motivi per cui scegliamo la 6k è avere maggior risoluzione di lavoro su cui fare crop, scalare, ottimizzare angolazione etc

L’alta risoluzione unita alla bassa compressione dei dati pone la camera come ottima scelta per girare clean plate, materiale da cui trarre texture e fotogrammetria ad alta risoluzione.

2) Mount EF

Per alcune persone il mount EF è uno svantaggio, tiraggio più lungo quindi meno possibilità di usare lenti di mount diverso; dall’altra il Mount EF insieme al Mount Ai Nikon offrono uno dei parchi lenti più ampi della storia fotografica e video, quindi una camera con mount EF significa poter accedere a lenti con elettronica o manuali di alto livello. Inoltre grazie alla diffusione delle camere canon in ambito video, la disponibilità di tali lenti nel parco lenti personale dei filmaker è spesso molto ampia.

3) Circuiti di Gain migliorati

La dimensione dei sensori è una lotta da sempre, da quanto è stato inventato il concetto di crop, dico inventato perchè è sempre esistito il principio, ma nessuno si faceva il problema, addirittura oggi leggo che le medio formato hanno il crop inverso… come se fossero le stesse lenti del formato 35 fotografico.

La Lumix GH5 ha un sensore m4/3 da 17.3 x 13 mm, la Pocket 4k ha un sensore Quattro Terzi da 18,96 mm x 10 mm, Aps-c Canon è 22.2 x 14.8 mm, la 6k monta un sensore Super 35 (23,10 mm x 12,99 mm), quindi leggermente più grande, il che offre un fattore di crop leggermente inferiore al primo.

Quello che importa in questo caso è il fattore di rapporto tra la dimensione del sensore e la risoluzione, per una questione fisica, se il sensore resta piccolo ma lo dividiamo in più fotorecettori, a parità di dimensione un sensore più risoluto necessita (teoricamente) più luce, quindi avendo una risoluzione superiore, i pochi mm di vantaggio fanno si che si possa ottenere senza grandi difficoltà una luminosità pari a quella raccolta in 4k dalla Pocket4k, la differenza tra le due camere di rapporto di luce guadagno viene allineato dai nuovi circuiti di guadagno.

4) Usarla per raffiche fotografiche Raw in alta risoluzione

La camera può essere usata in modo agile (come la Pocket4k) per girare sequenze raw e poi estrapolare i frame raw da usare come fotografie, con la differenza che la Pocket6k offre fotogrammi a 21megapixel di altissima qualità. In più di una occasione ho usato questa tecnica per catturare raffiche senza limiti di durata ad alta qualità.

5) Attualmente la 6k raw più economica sul mercato e già in vendita

Pur essendoci sul mercato diverse camere che registrano in 6k, a costi molti più alti, attualmente è la prima a fornire un 6k a bassa compressione (prores) o raw (Braw) è la Pocket6k, le alternative attualmente usano compressioni molto aggressive o permettono il salvataggio in raw solo con costosi moduli esterni.

6) Sulla Pocket6k si può avere uno Speedbooster interno

L’azienda Lucadapter, che produce una variante da inserire all’interno della UMP, sta pensando di produrre la stessa cosa per la pocket6k, ma per ora è ancora in fase di kickstarting, mentre per la pocket4k esistono sia i generici che quello dedicato da tempo, il vantaggio di avere un elemento interno evita giochi degli adattatori e meno possibili errori di allineamento delle lenti.

7) 4K reale oltre la matrice di Bayer

Il 4k ottenuto da un sensore 4k non è realmente un 4k a causa dei sensori con la matrice di Bayer, che nella fase di De-Bayering riduce la risoluzione effettiva, quindi il 6K è la soluzione ideale se si vuole ottenere il massimo della risoluzione reale.

Quest’ultima affermazione è stata aggiunta solo per completezza, ma sinceramente la trovo solo una fisima da pixel peeper.

Naturalmente la mia lista è relativa ad un discorso puramente generale, ognuno poi ha punti di vista diversi, personalmente la maggior parte di questi punti non mi tange, abituato a girare in dng non compressi o altri formati raw molto onerosi, ho usato la prima Alexa con il firmware 0.85 che registrava fullHd prores, senza audio, e ho avuto tante esperienze varie per cui … penso che queste due macchine siamo miracoli regalati alla massa.

Remaster… chissà se è un bene.

Con il bluray, l’alta definizione introdotta agli inizi del 2000, il 4k di oggi, c’è un fiorire di revival di prodotti e film completamente “rimasterizzati”… termine alquanto inquietante, sia nel video che nell’audio. Perchè dico inquietante? Perchè raramente si tratta di un restauro o recupero di una pellicola, ma nella maggior parte dei casi si tratta di DANNEGGIARE pesantemente il lavoro originale in funzione del pseudogusto di qualcuno che si permette di alterare e in alcuni casi rovinare la fatica originale con interventi non richiesti nè approvati.

In passato scrissi un articolo sui formati cinematografici, video e come per seguire le mode fossero stati danneggiati i film dall’accetta del pan e scan o peggio nel passaggio della tv in 16:9 fossero stati massacrati nuovamente per “ottimizzarli” al nuovo formato, un terribile esempio è il cult di SamRaimi Evil Dead, La casa, che fu rimasterizzato dall’originale 16mm 3:2 in un 16:9 forzatissimo massacrandolo con un brutale taglio sopra e sotto delle immagini.

purtroppo non solo gli anni 90 e inizio del 2000 furono teatro dei diversi tipi di tagli selvaggi delle inquadrature senza rispettare in nessun modo il framing originale, ma spesso danneggiando la struttura narrativa del film, in Evil Dead si nascondono elementi fondamentali nella storia da questi tagli.

Jack Cardiff (1914-2009) era un direttore di Fotografia che ha lavorato per quasi 100 film, un Oscar alla carriera come DoP, diverse nomination all’Oscar e a molti altri premi sia nominato che vinti, quindi un tecnico e un artista del suo lavoro, che prendeva decisioni ponderate e soprattutto che merita rispetto per il suo lavoro.

Perchè cito questo autore? perchè ho appena comprato il bluray di un film a me caro dall’infanzia, L’occhio del gatto 1985 , una trilogia di storie scritte da Stephen King, A volte ritornano, che hanno come comune denominatore un gatto di strada.
Peccato che nell’attuale distribuzione si sia eseguito uno di questi cosiddetti remaster… se si fosse trattato di un restauro curato con la supervisione e il benestare del direttore della fotografia, potrei anche capire, ma purtroppo qui si parla di un massacro in nome di trend modaioli (moderni) nella correzione del colore e della manipolazione delle immagini.

Il master proviene da una pellicola degli anni 80, quindi con grana presente, con un certo tipo di luce e contrasto, con colori non troppo saturi, e un lavoro di fotografia di un certo tipo. Purtroppo chi ha eseguito il remastering ha seguito una serie di scelte abbastanza discutibili e soprattutto molto banali su una fotografia ben definita. Ho deciso di confrontare due master, quello dell’edizione inglese, più fedele al master originale pellicola, e quello del bluray italiano ricevuto.

Fin dalle prime inquadrature è evidente che sia stata applicata una minima schiaritura alla pellicola, un poco cupa, ma il colore è stato spesso alterato secondo le mode moderne e la tendenza al Orange and teal. In questa prima immagine è evidente come le ombre siano state raffreddate, senza una ragione precisa, se non per una infausta moda…

In questa successiva inquadratura, che cita un altro film di Stephen King, Cujo, ci accorgiamo che senza motivo nel remaster il bidone anonimo a destra è stato ben evidenziato con una saturazione… il che distrae dalla composizione originale e dal muso del cane… chissà se il colorist in questione era conscio delle basi della composizione luce, colore applicata dal direttore di Fotografia?

 

Siamo ancora nei titoli di testa, e dopo aver neutralizzato i colori dei cartoni posteriori, i colori dei jeans sono diventati blu quasi elettrico.

 

 

In questo caso la reilaborazione è accettabile, tranne per il fatto che il colore era voluto, si vede la sfumatura del filtro ND graduale color Tabacco in alto… ma a questo colorist probabilmente sembrava troppo anni 80 (ehi! è un film girato negli anni 80).

Un altro intervento sui blu, notate il vestito verdino che diventa blu senza ragione (e gli altri colori sono rimasti più o meno uguali), ma bisogna dare importanza a quell’anonima comparsa… di sicuro la costumista è contenta che le sue scelte siano alterate dopo 30 anni…

Di nuovo, senza ragione vediamo questo Teal senza orange sulla porta accanto all’attore. Chissà se allo scenografo avrebbe fatto piacere sapere che il colorist si vuole arrogare il diritto di cambiare la scenografia.

 

E qui andiamo a cadere… perchè se si fa un remaster mi aspetto di vedere una immagine migliore, più pulita e leggibile, non che una notturna sia resa più satura e più scura dell’originale… questo non è un effetto notte  🙁

 

Introduciamo ulteriori problemi, mettiamo una saturazione forte dietro l’attrice portando il vestito dello stesso colore del fondo, così si mimetizza meglio, o si perde l’effetto impiastriamo bene l’immagine sennò si vede che il direttore di fotografia sapeva lavorare…

Stavolta è curioso come abbia deciso di togliere la dominante verde dei muri, senza toccare il resto… forse pensava che erano un errore introdotto dalle illuminazioni a led economiche… ah no, negli anni 80 non c’erano, si usavano le lampade al Tungsteno…
Se avesse visto un paio di volte il film si sarebbe accorto che il verde è usato nella fotografia a livello simbolico e appare più volte in determinati momenti del film.
Tecnica usata anche da Dean Cudney nel classico “The Thing” di Carpenter anticipando con il colore della luce l’arrivo di uno dei personaggi posseduti dall’alieno.

Un’altra inquadratura del tipo, se non è blu non può essere una notturna, per forza…

 

 

 

Qui Drew Barrymore era troppo visibile, allora visto che dovrebbe essere notte, portiamo tutto a blu, scuriamo, appiattiamo l’inquadratura e rendiamo meno leggibile il tutto…

 

 

Andiamo a replicare il look di Underworld, tanto è un horror, sono tutti uguali, no ? il fatto che si perda la mano dello gnomo malvagio in mezzo al buio perchè non c’è più il contrasto col rosso…

oppure che la dolce Drew diventi una specie di pallida vampira nella sua cameretta è solo un dettaglio, chi ci fa caso?

 

 

La scena è illuminata, ma la facciamo blu, così sembra più notturna a cupa, il fatto che ci siano colpi di luce, luce riflessa etc e ombre direzionali non le nota nessuno…

 

 

Qui poi il the best of, un primo piano su cui non solo appiattiamo la figura del gatto ma rendiamo la piccola Drew una vampira… già perchè l’incarnato se fosse colpito da una luce blu non rifletterebbe il colore blu in quel modo, ma il sangue riflette la luce… quel tipo di resa qui rappresentata è data dai cadaveri o dai morti viventi.

Ora capisco che chi è ignorante di queste materie potrebbe sembrare che me la prendo troppo per qualche cambiamento, ma la cosa grave è che una sola persona ha danneggiato il lavoro di diverse equipe di professionisti in un sol colpo, cambiando le scelte del dop, del montatore (perchè luminosità e colore sono elementi da considerare nel montaggio), scenografi e costumisti. Trovo imbarazzante che per seguire le mode di qualche tipo si trasformi il lavoro di diverse persone in una deviazione quasi digitale di una PELLICOLA, perchè a completare il tutto, c’è anche un certo livello di pop nelle immagini, quella bellissima invenzione che trasforma anche Barry Lyndon nella peggior immagine digitale di una handycam di basso livello.


Un buon filtro ND variabile Genustech Eclipse

71SPYgEAUVL._SL1500_Pur essendo un amante dei filtri a lastra, ammetto che un filtro ND variabile di ottima qualità può essere molto utile, soprattutto se si hanno macchine molto sensibili, e durante il giorno una macchina a 400 iso è ESTREMAMENTE SENSIBILE…

Dopo aver studiato in giro molti siti, review etc, ho scelto il Genustech Eclipse.
La recensione che mi ha convinto è quella del filmaker tedesco Frank Glencairn. In cui vede il confronto tra il Genustech Eclipse e l’Heliopan.

Cos’è e a cosa serve?

Un filtro Nd serve a ridurre la luce, il filtro ND variabile è una coppia di polarizzatori che ruotando uno rispetto all’altro riducono progressivamente la luce passante di diversi stop in modo graduale. Ruotando una parte del filtro si riduce o aumenta la quantità di luce che passa, mentre un filtro a lastra ha valori fissi di passaggio della luce.

Perchè è meglio di un filtro a lastra?

Perchè migliora la gamma dinamica dell’immagine! Il filtro ND variabile essendo un polarizzatore va a tagliare le alte luci, prima le alte luci delle medie, mentre un filtro a lastra abbassa la luce in generale, quindi usando un filtro ND variabile abbiamo la possibilità di controllare ancora più facilmente la luce in ingresso per una parte dell’immagine senza chiudere le ombre.
Inoltre potendo decidere in modo più preciso quanta luce togliere con la rotazione, è possibile dosare meglio la luce, evitando di comprare troppi filtri a lastra, e allo stesso tempo togliere troppa luce quando non si ha un filtro neutro intermedio tra due.

Perchè è peggio di un filtro a lastra?

perchè essendo un polarizzatore potrebbe togliere alcune alte luci (riflessi), che potrebbero essere utili per dare maggior tridimensionalità alle immagini, è parte della sua natura.

Alcuni filtri variabili possono introdurre degli effetti di moires, non è questo il caso.

La soluzione banale (come indica Frank) è accoppiare il filtro a un polarizzatore senza cristallo (solo la cornice), quindi si ruota il filtro ND per decidere la luce che serve, poi ruotando il secondo filtro collegato si orienta il filtro ND in modo da non togliere i riflessi di luce che ci danno fastidio. Quindi tutti i vantaggi senza gli svantaggi.

Perchè lo ho scelto?

perchè è il meglio che potevo scegliere ad una cifra più che onesta.
Il filtro mostra un’ ottima nitidezza anche a chiusura massima, nessun inquinamento cromatico evidente, non fornisce difetti visivi come il moires che viene introdotto da altri filtri come l’Heliopan, quindi per meno di 150 € è un ottimo prodotto.


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